Il digitale è la nostra acqua
“Ci sono due giovani pesci che nuotano e a un certo punto incontrano un pesce anziano che va nella direzione opposta, fa un cenno di saluto e dice: – Salve ragazzi. Com’è l’acqua? – I due pesci giovani nuotano un altro po’, poi uno guarda l’altro e fa: – Che cavolo è l’acqua?”
(David Foster Wallace, Questa è l’acqua, Einaudi)
Prima una semplice constatazione, «il digitale è la nostra acqua», che ha subito sgomberato il campo da qualsiasi illusione di una serata nostalgica o di un’esperta pronta a dare suggerimenti miracolosi per “tornare indietro”, e poi l’affermazione, questa sì decisamente incoraggiante, che il nuovo modello di comunicazione ha messo in discussione «quell’individualismo che ha caratterizzato la “società liquida”». In mezzo c’è tutta la riflessione che la professoressa Chiara Giaccardi, docente di sociologia e antropologia dei media presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha tenuto il 19 ottobre alla parrocchia Buon Pastore di Macerata, in apertura del nuovo ciclo di incontri, “Educazione è relazione”, organizzato dall’Associazione maestri cattolici di Macerata in collaborazione con l’Aiart della medesima città.
Mons. Claudio Giuliodori, vescovo della diocesi e presidente della commissione cultura e comunicazione della CEI, nel suo saluto iniziale, ringraziando il parroco don Gennaro De Filippi e il presidente AIMC dott. Lorenzo Lattanzi ha sottolineato che l’incontro, centrato sull’ottica educativa, «è un po’ un’anteprima di quello che sarà il cammino della chiesa italiana per il prossimo decennio», un tema che interessa la scuola, la famiglia e la chiesa con «interrogativi che a volte inquietano tante persone».
Vivere in un “bagno di stimoli”
Questi nuovi ambienti hanno due qualità principali: la prima è l’immanenza ovvero «la rete può contenere qualunque cosa: testi, immagini, discorsi, suoni» e ciò peraltro genera un “senso di equivalenza” tra i contenuti, siano il discorso del Papa o il video buffo girato per strada. La seconda è la dimensione dell’orizzontalità, ovvero la scomparsa delle “autorità”: chiunque può dire qualunque cosa, aprire un blog, postare un video. «Questo significa - ha aggiunto la Giaccardi - che viene messo in discussione, finalmente e in maniera definitiva, un elemento di distorsione della comunicazione che era l’idea della trasmissione». La Tv italiana, ad esempio, è passata dalle storie che parlavano del Paese e raccontavano l’Italia ai propri cittadini, alla “fiction” degli anni ’80 fino ad approdare al “reality” di oggi che è «una non-storia che accompagna la nostra quotidianità. È un testo che non ha un inizio né una fine, che non si sa se è vero o se è finto, e non importa nemmeno saperlo». Il mutamento della capacità di raccontare delle storie è diventato un problema anche educativo, perché «rappresenta un impoverimento della nostra capacità di avere e scambiare esperienze, e se noi non sappiamo avere esperienze, non sappiamo nemmeno più educare, perché l’educazione passa appunto attraverso questo scambio.
Smantellate le autorità, rimane l’educatore-testimone
La crisi dell’esperienza che diventa crisi dell’educazione è stato il punto centrale della riflessione: è possibile rigenerare il concetto di comunicazione e quindi di educazione? Secondo la Giaccardi sì e per spiegarlo ha fatto riferimento ai tre significati principali di comunicazione basati sull’etimologia della parola: «costruzione di qualcosa di comune tra persone diverse (da communis), fare un dono (cum munus) ovvero accogliersi reciprocamente prima ancora di parlare e infine “creare muri” (cum moenia), perimetri di significato, che in qualche modo uniscano le persone».
Allora se oggi l’autorità non esiste più in quanto le gerarchie sono state “disarticolate”, l’unico modo per comunicare/educare è conquistarsi un’autorevolezza che non deriva più da un ruolo istituzionalmente riconosciuto: «l’educatore è qualcuno che ha qualcosa da dire, non perché ha studiato più degli altri, ma perché quello che dice passa attraverso la sua esperienza». Essere un testimone è dunque «l’unico modo di presentarsi con autorevolezza sulla scena orizzontale della rete»; in questo contesto la tradizione non perde di valore, ma chi comunica come chi educa deve fare continuamente «la fatica di rileggerla alla luce del presente».
Altra novità introdotta dalla rete è quella della consapevolezza del limite: «io ho bisogno di conoscere i miei limiti attraverso i miei studenti - ha spiegato la docente - perché il mio sapere non esiste se loro non mi provocano sui loro interessi, sui loro bisogni reali, sui loro dubbi, sulle loro passioni». Quindi «il riconoscimento che io ho qualcosa da imparare dall’altro mi rende disponibile all’ascolto; la condizione preliminare dell’educazione e della comunicazione è l’incontro: la comunicazione e l’educazione sono innanzitutto incontro di persone e non semplice passaggio di informazioni». Nella dimensione orizzontale, a cui ci obbliga la rete, viene frantumato l’individualismo che ha caratterizzato la cultura contemporanea e, mentre nel vecchio modello della “trasmissione” l’altro era semplicemente un “destinatario” che non interferiva con la mia identità, nel nuovo modello di comunicazione/educazione «è l’altro che in qualche modo mi restituisce la mia identità: comunicare significa creare un mondo comune e la rete può consentire persino di andare oltre questo modello, creare le condizioni di uno scambio in cui l’altro è fondamentale, in cui il sapere è costruito insieme, in un processo mai finito, in cui nessuno di noi è mai arrivato».
Nell’ambito dell’iniziativa è proseguita la distribuzione dei quaderni e la raccolta fondi “cento piazze”.
Simona Mengascini
per la sezione AIMC di Macerata